Onorevoli Colleghi! - La tutela sui mercati mondiali dei prodotti tipici del Made in Italy ha avuto negli anni recenti un notevole impulso sul piano normativo, che ha preso avvio in particolare dalla legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria 2004). Nella legge finanziaria 2004, infatti, sono state inserite disposizioni a sostegno e promozione della produzione italiana e a tutela dei diritti di proprietà industriale e intellettuale delle imprese italiane sui mercati esteri. È stata, inoltre, prevista, a tutela delle merci prodotte integralmente in Italia o considerate prodotto italiano ai sensi della normativa europea in materia di origine, la regolamentazione dell'etichettatura Made in Italy, nonché la possibilità di adottare un apposito marchio, al fine di rafforzare la riconoscibilità dei prodotti italiani all'estero.
      Con il cosiddetto «decreto competitività» (decreto-legge n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005) il legislatore ha rafforzato la lotta alla contraffazione, attribuendo rilevanza penale anche alle fallaci indicazioni di origine che, stando all'attuale testo, si concretizzano nell'«uso di segni,figure o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana».
      Alla luce della legge finanziaria 2004, in particolare, del comma 49 dell'articolo 4 e del «decreto competitività», la Corte di cassazione ha parzialmente rivisto il concetto di «origine imprenditoriale» dei prodotti,

 

Pag. 2

secondo cui l'espressione «origine o provenienza» del prodotto si interpretava in relazione al soggetto cui si deve far risalire la responsabilità giuridica e produttiva e che pertanto garantisce la qualità del prodotto. Con la recente sentenza 2648/06 la terza sezione della corte di cassazione ha infatti parzialmente corretto questa impostazione, per i prodotti la cui notorietà è strettamente legata alla provenienza italiana (come nel caso dei capi d'abbigliamento, a cui la sentenza si riferisce).
      Respingendo il ricorso di un'azienda italiana, importatrice di vestiti sportivi dalla Moldavia, contro il sequestro probatorio di alcuni capi disposto dal pubblico ministero, la Cassazione ha ridisegnato la portata della tutela penale anche in virtù delle novità intervenute in materia con la legge finanziaria 2004, che ha ridato vigore al concetto geografico di provenienza dei prodotti. La manovra economica, infatti, ha chiamato la disciplina europea a far da guida nella tutela anche penale del consumatore, non solo per i prodotti industriali e per il settore alimentare. La sentenza richiama infatti la disciplina europea delle indicazioni d'origine, secondo cui (articoli da 22 a 26 del Regolamento CEE n. 2913/92 del 12 ottobre 1992) si intendono originarie di un Paese le merci interamente ottenute in tale Paese, ovvero, qualora alla produzione delle merci contribuiscano due o più Paesi, si definisce come Paese d'origine quello in cui è avvenuta l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale. Con la citata sentenza, i giudici della Corte di cassazione hanno elaborato il seguente principio di diritto: «Integra il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci (articolo 517 Cp) la commercializzazione di beni del settore dell'abbigliamento con la dicitura "Italy", che pur essendo prodotti da una ditta italiana su disegno e tessuto italiani, siano stati confezionati all'estero da maestranze non italiane, in quanto in questo particolare settore l'Italia gode di un prestigio internazionale, fondato anche sulla particolare specializzazione delle maestranze impiegate, e pertanto il sottacere tale dato fattuale o il fornire fallaci indicazioni ha l'intento di conferire al prodotto una maggiore affidabilità promuovendone l'acquisto».
      Nonostante la normativa di tutela del Made in Italy e di lotta alla contraffazione, che abbiamo ripercorso, abbia creato un argine a comportamenti distorsivi della competitività, di fatto, attraverso una articolata strategia, messa in piedi da numerose aziende presenti sul suolo italiano e condotte in massima parte da immigrati, si riescono a superare i vincoli introdotti sfruttando dei vuoti normativi rimasti insoluti. La strategia è la seguente:

          a) all'origine vengono prodotti all'estero, in Cina o altre località a basso costo di manodopera, enormi quantitativi di capi di abbigliamento;

          b) tali capi di abbigliamento vengono quindi esportati in Italia per essere «acquistati» dagli immigrati che, attraverso aziende da loro costituite e condotte nel nostro Paese, provvedono a «nazionalizzarli» apponendovi griffes registrate presso le camere di commercio e facendo così perdere ogni traccia del luogo in cui sono stati effettivamente realizzati;

          c) tali imprese collocano sui mercati occidentali come proprie, cioè come articoli prodotti da aziende italiane, i capi importati su cui è apposto esclusivamente il marchio dell'azienda italiana.

      In pratica si sfrutta il vuoto legislativo concernente l'etichettatura d'origine obbligatoria. Infatti tali prodotti non recano la dicitura «Italy», ma solo il nome italiano dell'azienda che funge da importatrice del bene prodotto all'estero.
      Con la presente proposta di legge si intende pertanto tutelare i prodotti italiani prevedendo in maniera esplicita che costituisce falsa indicazione anche «l'uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dall'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine senza l'indicazione precisa, in caratteri evidenti, del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione o di produzione, o da un'altra

 

Pag. 3

indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera».
      Inoltre si prevede che le false e le fallaci indicazioni di provenienza o di origine non possono comunque essere regolarizzate, mediante esatta indicazione dell'origine o rimozione delle false stampigliature, quando i prodotti o le merci siano stati già immessi in libera pratica.
      Onorevoli colleghi, la presente proposta di legge riveste un'importanza strategica per i prodotti nazionali e, non a caso, si pone in linea con la discussione in atto in Europa sulla marcatura d'origine obbligatoria che tanti ostacoli sta incontrando proprio da parte di quei Paesi europei, per lo più del Nord Europa, che hanno delocalizzato le loro produzioni nei Paesi a basso costo di manodopera e che non apprezzano l'idea che i prodotti rechino il marchio, per esempio, Made in China, anziché Made in Germany. La proposta di regolamento adottata dalla Commissione europea il 16 dicembre 2005 e la risoluzione approvata all'unanimità il 6 luglio scorso dal Parlamento di Strasburgo costituiscono un importante passo in avanti in attesa che la proposta di etichettatura di origine obbligatoria venga adottata dal Consiglio europeo.
      Pertanto auspichiamo che su un tema così importante per l'economia nazionale si trovino le sinergie giuste per giungere al più presto all'approvazione e all'entrata in vigore della presente proposta di legge.
 

Pag. 4